PPA e Italia. I tempi sono finalmente maturi?
Di Francesco CALABRETTA – Country Manager Italia
Con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima – più semplicemente PNIEC – l’Italia ha fissato le linee di intervento che adotterà, nei prossimi 10 anni, sul fronte di una sempre maggiore decarbonizzazione e sull’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.
Al di là dei singoli giudizi sull’efficacia o meno delle azioni previste per contrastare il climate change – adeguate per alcuni, insufficienti per altri – è interessante notare che tra le misure si menzionano anche i PPA o Power Purchase Agreement. Nel testo definitivo da poco pubblicato, si legge che da questo tipo di strumento finanziario “si attende un contributo di energia rinnovabile pari almeno a 0,5 TWh addizionali in ogni anno”. Finalmente, anche il MiSE riconosce l’importanza che assumeranno i PPA nel raggiungimento dell’obiettivo dichiarato del 30% di energie rinnovabili (consumi finali lordi) da qui al 2030.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa sono i PPA? Si tratta di contratti di fornitura di energia rinnovabile stipulati tra chi produce energia (e possiede l’impianto, fotovoltaico o eolico) e chi la compra (spesso una società che la commercializza o la distribuisce).
In quanto accordi a lungo termine (intorno ai 10-15 anni), essi hanno il vantaggio di apportare una certa stabilità nei flussi di ingresso per i produttori, evitando il problema della volatilità del mercato e facilitando il finanziamento o la “bancabilità” dei progetti. Dall’altra parte, grazie a questi strumenti finanziari, le compagnie di vendita acquistano energia a condizioni economiche migliori rispetto a quelle che avrebbero avuto comprandola sui mercati all’ingrosso, ottenendo dunque benefici competitivi – a corto e medio termine - nell’approvvigionamento energetico rispetto ai competitor.
Questo genere di contratto è, di solito, affiancato da garanzie che tutelano entrambe le parti. Lato venditore vi sono a disposizione forme assicurative sul credito (che mettono al riparo chi vende dalla insolvibilità di chi compra) o dei meccanismi finanziari che mitigano eventuali ed eccessive fluttuazioni dei prezzi dell’energia. Lato acquirente esistono, per esempio, certificazioni come le Garanzie di Origine che attestano l’origine rinnovabile delle fonti energetiche acquistate.
Questo sistema, diffuso prima negli Stati Uniti (una legge federale ne regola l’uso sin dal 2005) e poi in Europa, da noi in Italia è ancora poco noto o almeno sotto utilizzato. Le ragioni di questo ritardo chiamano in causa l’incertezza normativa del settore delle rinnovabili e il conseguente timore degli operatori nello stipulare accordi che abbiano una durata superiore ai 5 anni. È sufficiente pensare al lungo e lento iter di approvazione dell’atteso Decreto FER1.
Intoppi e problematiche contingenti a parte, una certezza si è andata delineandosi in questi anni: finita l’era degli incentivi e dei sussidi, i PPA si pongono come gli strumenti più adeguati ed efficaci per cambiare il volto dell’energia rinnovabile, specialmente quella proveniente da solare fotovoltaico e, in secondo luogo, da eolico. Ciò appare chiaro, osservando i sempre più consistenti accordi stipulati sui mercati energetici mondiali, in particolar modo se si guarda a quello spagnolo.
Una situazione che conosciamo da vicino. Infatti, sia come parte integrante del Gruppo Audax sia come Audax Energia Italia, possiamo definirci “pionieri” nell’utilizzo di questi strumenti finanziari. Dal 2017 in avanti, Audax Renovables ha stipulato PPA per oltre 1,7 GW, attivando partnership strategiche con soggetti quali Trina Solar, WeLink, Innogy, Statkraft, Cox Energy.
Nel nostro Paese, Audax Energia ha giocato d’anticipo e nel gennaio del 2019 ha siglato un PPA da 20 MW in Basilicata, con BAS FV. Un primo passo a cui stiamo lavorando perché ne seguano presto altri. Rispetto a 12 mesi fa, tuttavia, qualcosa è cambiato e la strada appare meno irta di ostacoli e incertezze.
Una situazione che, sembrerebbe – l’uso del condizionale è quanto mai opportuno –trovare corrispondenza con i dati di recente pubblicazione e che raccontano di un’Italia in seconda posizione per progetti preventivati, proprio dopo la Spagna.